2017 Quattro tappe

"La vita dell'uomo ha quattro tappe. La prima è quella dell'imparare, quando si è formati dai maestri. La seconda è quella dell'insegnamento in cui si condivide quello che si è appreso con gli altri. La terza fase è quella del bosco, nel quale ci si ritira per ritrovare se stessi ed energie nuove. Infine la quarta tappa è l'essere mendicanti, tendendo la mano agli altri perché ti sorreggano nella malattia e nella vecchiaia".
(Apologo indiano)

Condivido con voi questo testo dal libro di Ravasi Le parole del mattino (Oscar Mondadori). Per ogni giorno dell’anno una frase o un testo di un autore seguito da un suo commento. Leggendoli non si sa cosa scegliere. Un bellissimo spunto di meditazione quotidiano che ci potrebbe aiutare ad affrontare e a vivere bene o con uno spirito diverso tutte le giornate che le stagioni dell’anno ci mettono davanti. Un libro da “centellinare”, giorno per giorno, appunto, come un modo per meditare un po’ in questi tempi convulsi e apparentemente poco propensi alla riflessione e al silenzio.

In questo caso Ravasi fa’ una piccolo commento sulla bellezza e il senso dei vari momenti della nostra vita ampliando le parole di quell’apologo. Si tratta ovviamente non solo di vita biologica ma di vita intesa in senso molto più ampio: intellettuale, relazionale, interiore ...

Ci sono, dunque, quattro fasi. La prima fase è quella dell’apprendimento, del discepolato, possiamo dire la fase evolutiva della vita, la fase in cui non si “produce” ancora perché ci si sta formando.

La seconda è la fase in cui si mette al servizio degli altri quanto si è ricevuto (magari è la fase più lunga, più burrascosa, quella che porta alla maturità). È al fase della realizzazione professionale, in cui si mette su casa e famiglia …

C’è poi la fase del “bosco” in cui ci si ritira perché si comincia a percepire che quello che si sta dando comincia a non bastare più. Una macchina sempre in funzione ha bisogno delle sue revisioni per poter continuare a funzionare bene. Talvolta c’è bisogno anche di sostituzioni di pezzi importanti, di verifiche, di cambiamenti di rotta …

E c’è infine la fase dell’essere mendicanti. È la fase della vecchiaia e della malattia o, comunque, dell’essere dipendenti in qualche modo, dagli altri. E qui il cerchio si chiude. Si parte dalla dipendenza dell’età evolutiva che porta (deve portare) necessariamente alla autosufficienza e alla maturità per tornare ad essere, alla fine, dipendenti dagli altri.

Due considerazioni. Innanzitutto, le varie fasi non seguono necessariamente un ordine cronologico. A volte una fase si interseca con un’altra. Una malattia può obbligare a vivere l’essere mendicanti anche nella fase della maturità. Come non si può vivere sempre esposti e sempre donando. È necessaria la ricarica, il rifornimento, soprattutto quando ci si sente particolarmente esauriti, scarichi … Anche chi è giovane può e deve dare (quando diciamo “spazio ai giovani” non in senso retorico o come volontà di disimpegnarci, di tirarci fuori …). Il “bosco” poi non è solo una fase cronologica, un punto di arrivo, ma una dimensione da coltivare anche prima durante la giovinezza e la maturità.

D’altronde (èd è la seconda riflessione che vorrei proporre) non è detto che la fase del bosco debba durare un tempo sproporzionato. Pensiamo al periodo della pensione: rappresenta per molti dal punto di vista esistenziale il tempo del bosco (non si lavora più, i figli son grandi, le grosse preoccupazioni sembrano trovarsi alle spalle …) ma è giusto che sia solo questo? Non rischia di esserci sproporzione tra il numero di quanti vivono il bosco e quanti vivono la seconda fase della vita? Per non parlare della quantità di tempo che alla fine si riserverebbe al bosco. Ci sarà pure un motivo se tanta parte di volontariato è portato avanti nel nostro paese dai pensionati. Il volontariato può essere inteso come uno sviluppo della seconda fase, quella del dare, non motivati più dall’assillo economico ma esclusivamente da quello che si ritiene giusto. Si fa’ qualcosa perché ce n’è bisogno e perché si è liberi di farlo. Con tutto quello che ne segue di libertà di spirito di saggezza che ne segue. Si può dare nella totale libertà e nello stesso tempo con la discrezione che sa far posto agli altri che vengono dopo di noi.

Ma forse è meglio non proseguire nelle concretizzazioni. E lasciare che l’apologo delle quattro tappe apra a ciascuno lo spicchio di orizzonte che più gli può servire.

Stefano Costa

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