2023 Sarmeola: un Consiglio regionale MASCI diverso!
22 aprile 2023
Un consiglio regionale differente. E’ stata una specie di piccola sfida: chi l’ha detto che le formule e i modelli che ci accompagnano da tempo non possano essere modificati, o anche stravolti completamente? Il consiglio regionale del 22 aprile svoltosi nella parrocchia della Sarmeola passerà alla storia come un consiglio regionale che, senza immaginarci rivoluzioni eclatanti, ha segnato una piccola svolta nel cammino del Masci. La formula dei nostri consueti incontri è abbastanza nota e rodata: una paio di ore, di sabato pomeriggio incastonate in un calendario settimanale di impegni di ogni tipo, in cui si cerca di concentrare relazioni, appuntamenti, ratifiche di decisioni assembleari, pratiche amministrative riguardanti l’andamento regionale dell’associazione. Generalmente tutti arrivano di corsa dagli angoli più disparati della regione, con l’orologio in mano, pronti ad andarsene allo scadere dell’orario per altri impegni che attendono la serata del sabato. Si sa cosa significano le ore del sabato pomeriggio: ore di libertà dai ritmi di lavoro settimanale ma che diventano, o rischiano di diventare, ancor più stressanti e frenetiche per gli innumerevoli impegni di carattere familiare, parrocchiale o associativo. Ore in cui non bisogna perder tempo perché in esse si riesce a concentrare impegni e appuntamenti che servono a tutta la settimana. Una sorta di tempo concentrato, che serve da snodo, da raccordo per il resto del tempo del nostro vivere. È per questo che di solito queste ore non possono eccellere in profondità e in distensione. Per tutti questi motivi siamo abituati al fatto che dai nostri consigli regionali non possiamo trarre motivi e spunti per conoscenze profonde e per l’approfondimento di relazioni ma solo per decisioni, dibattiti e comunicazioni. Ma chi dice che le cose debbano sempre andare così? Che questi incontri debbano avere sempre e solo il carattere di una risposta a problematiche burocratiche organizzative e logistiche?
Ed ecco la sorpresa. È successo appunto che a Sarmeola abbiamo vissuto un consiglio regionale diverso dal solito. Per i tempi che ci sono stati dati in primo luogo. E poi per la relativa scarsità, per non dire assenza, di impegni e di urgenze da espletare. Ci siamo incontrati di mattino. Abbiamo iniziato alle dieci e mezzo, non certo di buon mattino. C’era tutto il tempo di arrivare con calma e relativamente rilassati e riposati.
Il cerchio con il canto e la preghiera iniziale è stato molto importante. A differenza di come di solito ci capita di fare la preghiera non è stata una cosa frettolosa, quasi una formalità che siamo obbligati a sbrigare, ma il vero e proprio lancio che ha permesso il decollo delle ore che abbiamo successivamente passato assieme. È stato proposto il testo evangelico della liturgia della domenica: I discepoli di Emmaus (Lc 24, 13 – 35). Sappiamo tutti di cosa si tratta ma forse non sarebbe male andare a rileggercelo di nuovo. È uno dei testi programmatici della vita della comunità. Certo tutto il vangelo lo è, ma questo in modo particolare. Il testo è stato un po’ come uno specchio che ci ha accompagnati e in cui abbiamo avuto la possibilità di ritrovarci. Don Gianluca ce l’ha detto nel suo commento. Due discepoli se ne stanno andando via da Gerusalemme: di uno l’evangelista Luca dice che si chiama Cleopa, del secondo, invece, non dice il nome. Probabilmente il suo intento è proprio quello di lasciare a chi legge la possibilità di mettere sé stesso in quel personaggio. Monica e Lionello ci hanno poi invitato ad immergerci immediatamente nel lavoro di gruppo. In realtà non c’era granché da discutere e da risolvere. Non c’erano questionari, riflessioni da fare o drammatizzazioni da preparare. L’abbiamo intuito subito. Dovevamo ”lasciarci coccolare nel nostro essere magister”. E abbiamo compreso un po’ che questo “lasciarci coccolare” corrispondeva un po’ all’operazione dei due discepoli del vangelo a cui si affianca il Maestro. Noi siamo un po’ come loro: abbiamo il Risorto al nostro fianco ma non lo riconosciamo, almeno non immediatamente. L’esperienza dell’incontro con il Risorto, della vita cristiana, non è una cosa naturale, immediata, è possibile se si cambia registro, se ci si lascia convertire. Lui, il Risorto, cammina al nostro fianco (il tema del cammino, della strada) e ci stimola a venir fuori dal nostro guscio, a presentarci, a raccontarci, ovvero a dire con le nostre parole disilluse, stanche, e forse demotivate, quello che è successo. E proprio nel raccontarci, nell’aprire il nostro cuore cominciamo a sentire un certo sollievo, a vedere una luce, a sentirci meglio. “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversavamo lungo il cammino?” Dovevamo raccontare un po’ quello che ci sentivamo passare nel cuore come magistri. Ed è quasi superfluo dire cosa può esser venuto fuori: più o meno i discorsi “pre-pasquali” dei due discepoli… “Speravamo che fosse colui che avrebbe liberato Israele … le donne che sono andate al sepolcro trovandolo vuoto”… La nostra situazione di comunità che invecchiano, in stallo, che si vanno riducendo con l’avanzamento dell’età e delle forze fisiche, anche - diciamocelo - con il venir meno di qualche suo componente significativo … Eppure non manca la voglia di mettersi in gioco, ma si ha l’impressione che si stia girando a vuoto, che dietro di noi non ci sia nessuno a seguirci, di essere gente che “ha fatto il suo tempo”. Parliamo per noi, Masci, ma in modo generale, anche per tutta la Chiesa. Cleopa e il compagno che se ne vanno via da Gerusalemme dopo “aver sperato” sono appunto persone che
hanno smesso di sperare, che coniugano il vergo sperare al passato, mentre la speranza riguarda il presente e il futuro, persone disilluse che, con l’evento tragico della croce, si son viste crollare il mondo addosso. Ma non è così anche con noi? Anche se in modo meno traumatico? E’ difficile pensare che le cose possano andare in modo diverso da come le abbiamo pensate. Eppure ci abbiamo messo tanto impegno, tanta energia.
Il tempo dei gruppi è stato troppo breve. Quando Monica e Lionello ci hanno chiamati per mettere in comune senza alcuna pretesa di sintesi quello che era emerso qualcuno ha detto che eravamo solo all’inizio. Ancora un po’ l’esperienza dei due che raccontano e che raccontando sentono di stare bene. Ma c’è un orario: anche i due assieme al Risorto, che continuano a non riconoscere, arrivano al luogo dove dovevano arrivare: Emmaus. Il tempo vola quando si parla e ci si racconta in libertà. Non ci sono orologi. Bisogna che qualcuno ci costringa a smettere. Il pranzo poi con la pastasciutta preparata con semplicità ed eleganza dal gruppo della Sarmeola è l’occasione per continuare a vivere lo spirito del testo dei discepoli di Emmaus. Chissà perché la tavola è sempre tanto importante nel Vangelo. Il Risorto viene riconosciuto a tavola, allo spezzare il pane. E in quello stesso momento scompare. Ma non poteva essere diversamente. I due fanno ritorno a Gerusalemme. Ritornano da dove erano partiti, non scappano più. Ritornano come missionari, come annunciatori ad incontrare “gli Undici e gli altri che erano con loro”. E a raccontare loro “come avevano riconosciuto Gesù allo spezzare il pane”. Annunciano quello che hanno visto, quello che hanno capito, non da fanatici, da esaltati, ma da umili discepoli coinvolti in una bella esperienza. Poche parole, pochi movimenti con i quali l’evangelista Luca sintetizza il nascere stesso della Chiesa. È questo dunque il senso del nostro esserci ritrovati oggi: vivere un’esperienza di Chiesa, di comunità a partire dalla luce del Risorto, a partire dalla domenica, dal Giorno del Signore che ci apprestiamo a vivere.
E tutti noi, dopo la bella e (speriamo) utile presentazione del lavoro di Pietro sul nuovo sito regionale, possiamo fare ritorno alle nostre comunità, rianimati, rincuorati nel nostro mestiere, meglio dire nella nostra “missione” di magistri, di responsabili. Riconosciamo che magistri lo siamo tanto poco (“uno solo è il vostro maestro” ci ricorda Gesù in un’altra parte del Vangelo). Quanto è pesante questa parola! Ma siamo magistri o responsabili perché prima siamo discepoli.
Responsabili nei confronti di altri, dei nostri fratelli, delle nostre comunità delle nostre parrocchie, perché prima (ovvero oggi) qualcuno si è preso cura di noi. La dinamica mai scontata, eppure a pensarci tanto semplice, della vita cristiana, della vita delle nostre comunità è sempre questa. Qualcosa di intuitivo, di spirituale, da viversi a livello esperienziale con il cuore aperto alle dimensioni della fede e della condivisione concreta, del sentire che è stato bello stare assieme tra di noi ed aver imparato qualche nome in più.
Stefano Costa