2020 Viene la Luce! Sentinelle di Speranza

Viene la Luce! Sentinelle di Speranza

 

La luce c’è. Viene. E noi ci prepariamo ad accoglierla. Nulla ci sarebbe senza di essa. C’è vita perché c’è luce. Senza luce saremmo immersi nella melma, nel caos, nella tenebra. La luce vince le tenebre che è come dire che la vita ha la meglio sulla morte. È questo avviene in continuazione a partire dal fatto che ogni giorno, al sorgere del sole, la vita riprende con i suoi ritmi e i suoi riti. Come MASCI abbiamo celebrato l’arrivo della Luce di Betlemme, nella chiesa di Caldiero, la sera di mercoledì 16 dicembre. Poche presenze, ben distanziate e mascherate. Un clima ben differente da quello usuale dei nostri incontri. Oltretutto con l’incombente spada di Damocle dell’orario. Alle 22 scattava il coprifuoco e bisognava già essere in casa. Siamo fuggiti in fretta e furia. Qualcuno se n’è andato con la lampada della luce in mano preoccupato di potersi imbattere in qualche solerte pattuglia di carabinieri. Sembra proprio che sia diventato parte dell’aria che respiriamo questa sensazione di paura, il non sentirsi a posto per non aver osservato scrupolosamente tutte le regole, dovute alla necessità sanitaria, di vivere distanziati. Anche quando ci si incontra si sente che non è la stessa cosa. Non ci possono essere contatti, avvicinamenti, strette di mano, abbracci. Ogni rapporto deve essere vissuto a livello cerebrale o spirituale. Ma sappiamo quanto l’essere umano abbia bisogno di segni, di contatti fisici, di carezze, di vicinanza. Da scout si cerca sempre di inventare qualcosa di nuovo, anche nella dimensione della simbologia. Abbiamo pregato il Padre nostro alla fine dell’incontro tenendoci per mano attraverso la catena dei nostri fazzolettoni.
All’inizio della veglia abbiamo voluto sottolineare la dimensione del buio collegandola all’esperienza del deserto. Oscurità e deserto: due dimensioni differenti che hanno in comune il fatto di essere segnati dall’ignoto, dal pauroso, dall’ineffabile. Realtà in cui l’essere umano vive la dimensione abissale del proprio limite, della propria vulnerabilità. Con tutto quello che ne consegue in termini di sentimento di impotenza, di paura, di desiderio di chiudersi e di difendersi, anche dagli altri simili.
Un’esperienza da accogliere e da valorizzare, da vivere comunque anche come opportunità, come occasione per una presa di coscienza di ciò che abbiamo e siamo. Non si apprezza veramente una cosa se non quando ci viene a mancare, lo
sappiamo. Lo abbiamo vissuto anche in questa veglia natalizia tanto strana ed essenziale.
Il deserto riguarda anche le nostre relazioni. Può essere confrontato al distanziamento che siamo costretti a vivere quest’anno. Il deserto è stato il luogo scelto da fratel Charles de Foucault per vivere la propria esperienza di fede. Il deserto è stato per lui luogo di prova e di ritorno all’essenziale, luogo in cui, ha scoperto e conservato “un grande tesoro” Gesù presente nei segni del pane eucaristico. Per quel tesoro, davanti al quale passava in adorazione diverse ore della giornata, verrà ucciso dai predoni. In quel luogo deserto fratel Charles non aveva contatti con gente della sua razza e neppure della sua religione. Soltanto con i tuareg, i veri abitanti del deserto, i soli in grado di sopravvivere in quell’ambiente ostile. Deserto – scoperta del Tesoro – incontro con l’Altro, che non è necessariamente l’amico, il simpatico, colui che condivide i nostri ideali. Un incontro con l’altro purificato proprio dalle asperità, dalle difficoltà che si incontrano. L’altro per sua natura è fatto per scomodarmi, per rompere i miei schemi, all’altro deve essere fatto posto. E per fargli posto devo in qualche modo privarmi di qualcosa, farmi da parte. Noi occidentali siamo sempre troppo legati, affezionati alle nostre comodità, al mondo della nostra sicurezza, del nostro confort. Eppure veniamo da epoche in cui non avevamo tutto questo. Il deserto del nostro distanziamento può essere occasione, come ci insegna Charles de Foucault, per vivere l’essenzialità delle nostre relazioni, in attesa che giungano tempi in cui queste relazioni potranno nuovamente tornare a manifestarsi alla luce del sole.
La luce arriva di nuovo in questo natale strano, quasi surreale. Ed è una luce che da’ vita, che scalda, che mette in luce i particolari nascosti. Una luce che da senso al nostro deserto quotidiano. La luce rimane sempre disponibile. In diversi l’abbiamo accesa o l’accenderemo. E la porteremo nelle nostre case, ovunque. È la luce della speranza che ciascuno di noi può tener viva nel suo ambiente di vita. Sempre che ce ne sia ancora bisogno, che ne sentiamo ancora il bisogno, con il proliferare ovunque delle luci artificiali. A ciascuno di noi farsi carico di questa flebile luce custodendola nel proprio ambiente di vita come dono prezioso che ci permette di guardare avanti a noi con speranza.

Stefano Costa

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