2019 Masci al monastero Dominus Tecum a Pra d’Mill

Alla fine, quattro membri “scelti”della comunità La Soca di Caldiero hanno vissuto quattro giorni di condivisione con i monaci cistercensi del Monastero fondato vent’anni fa’ nella diocesi di Saluzzo.

Stavolta siamo saliti per la valle dell’Infernotto, a pochi chilometri da Pinerolo, al cuore della quale è situato il monastero cistercense con la precisa intenzione di partecipare alla vita dei monaci da Masci, portando il nostro equipaggiamento di scouts. E ci siamo accorti piacevolmente che ci può essere una profonda affinità tra ideale scout e ideale monastico. Certo è una caratteristica dello scoutismo adulto (Masci) quella di offrire un grande ventaglio di esperienze e approfondimenti umane, sociali, ecclesiali, e che si possono raccogliere attorno ai grandi pilastri delle tre C: Cuore, Creato, Città.

La permanenza in un monastero ovviamente fa’ riferimento immediato alla prima C, quella che parla della grande dimensione della Fede, dell’interiorità, della vita spirituale, e tutto questo a partire dall’ambito sterminato della formazione permanente. Se diciamo che lo scout adulto è sempre in formazione lo è soprattutto e principalmente nella dimensione più intima di questa, vale a dire nella propria ricerca e nel proprio incontro con Dio.
Un po’ come il monaco che, prima di ogni altra cosa, - ce l’hanno ricordato in più modi gli incontri avuti con i monaci di Pra d’Mill - è un cercatore di Dio. E la preghiera è il modo, il luogo in cui avviene questa ricerca e questo incontro. La preghiera dice che Dio lo si è trovato e lo si può trovare ma proprio per questo è sempre ancora da trovare. Le preghiere liturgiche e il canto dei salmi che scandiscono le ore della giornata del monaco dicono questo desiderio di mostrare quanto la vita umana possa acquistare un senso straordinario quando si apre al dialogo con l’Assoluto. I discepoli chiedevano a Gesù che insegnasse loro a pregare. E avanzavano questa richiesta sicuramente perché vedevano in lui non solo uno che sapeva pregare tecnicamente, ma uno che dalla preghiera traeva realmente nutrimento per tutta la sua vita. Ci si appassiona alla preghiera, come ad ogni cosa, non perché qualcuno ce lo impone, ma perché si vede che chi prega è veramente felice, realizzato come persona. Il fascino di questi luoghi penso sia da far risalire a questo fatto: lassù vedi della gente che prega bene, lassù ti viene voglia di pregare, lassù comprendi veramente cos’è la preghiera, individuale e comunitaria. I monaci sono maestri di preghiera. E chi li accosta deve innanzitutto lasciarsi condurre da loro sui sentieri della preghiera. Nella preghiera avviene il nostro incontro reale e
personale con Dio. Loro, i monaci, ci aiutano ad essere più credenti in questo senso. La fede non è un’astrazione, ma un fatto estremamente concreto: è una relazione personale che ha bisogno di essere alimentata.
L’incontro con i monaci è uno squarcio luminoso sulla dimensione del CUORE. Un Cuore aperto, unificato, riconciliato, in pace, che si alimenta alla fonte dell’acqua viva, come dicono i salmi e che sa apprezzare e cogliere nella forma migliore le bellezze del Creato che circondano ogni giorno e di cui i monaci sono, quassù, in qualche modo testimoni e custodi come l’Uomo che Dio, nel secondo racconto della creazione narrato in Genesi 2, pone al centro dell’Eden come giardiniere, come responsabile ed equilibratore. E quanto il monachesimo ha insegnato e continua ad insegnare a vivere un rapporto equilibrato tra presenza umana e realtà della natura. Anche in questo monastero costruito nel cuore di una valle abbandonata e al posto di una contrada disabitata da decenni.

Lo stare quassù ci fa’ aprire poi alla terza C, l’ampia C della Città estensibile a tutte le realtà politiche, familiari, sociali in cui l’uomo, ciascuno di noi, vive il proprio dramma e le proprie fatiche. Ciascuno è salito quassù con il proprio fardello di problemi personali e familiari, con i propri progetti di comunità e con le preoccupazioni per il proprio paese. C’è poi il legame con il nostro gruppo, la nostra comunità. Vivere in ambiente monastico oggi è molto differente da un tempo. I social ci accompagnano sempre. La prima cosa che si cerca, anche in una valle fuori dal mondo, è la certezza di poter connettersi con il mondo esterno. Il telefono tradizionale funziona si e no. Ma c’è la linea Wifi del monastero che permette, in certi punti, di comunicare. La città, insomma, ce la portiamo dentro. Certo lo sguardo che si può avere di essa è molto più rilassato, sereno, se ci si trova in una posizione lontana; se la si osserva dall’alto di una vetta nel contesto di un panorama armonioso e lineare. È diversa anche se la si guarda attraverso il filtro delle parole ascoltate dalla bocca di un monaco. Non appare più solo nel suo aspetto problematico, conflittuale, infernale ma come una realtà positiva. È lo sguardo di Dio dopo ogni atto della Creazione: “E Dio vide che era cosa buona” (nel caso della creazione dell’uomo/donna “cosa molto buona”). Insomma la città, piena di problemi e di conflitti, che ci portiamo dentro e che è fuori di noi e nella quale siamo tutti immersi, deve essere vista innanzitutto con uno sguardo positivo, ottimista, costruttivo. Salire quassù significa ricondurre al suo aspetto migliore ogni nostro problema.
Che non significa non saper riconoscere i problemi esistenti ma saperli leggere come momento successivo al primo dato di fatto che è la felicità per tutto quanto esiste.
La preghiera dei monaci è in gran parte preghiera di lode, vale a dire preghiera di grazie a Dio per l’esistenza, certo poi c’è la supplica, la confessione, la richiesta di perdono. Ma tutte queste altre forme di preghiera si svolgono dentro il quadro più grande della preghiera della lode, ovvero all’interno della certezza che Dio non ci abbandona mai.
Venire quassù significa assaporare questa fiducia, questo stile, questo abbandono. Ci riusciremo per qualche ora, forse per qualche giorno solamente. Non importa: si sa che esistono dei fratelli che vivono costantemente questa dimensione. E la vivono anche per noi. La vita monastica è infatti un dono, un arricchimento, per tutta la chiesa e per tutta l’umanità.

 
Stefano Costa

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