2018 Salita al colle di San Giacomo

E’ iniziata ufficialmente sabato 17 novembre l’attività MASCI di quest’anno. È iniziata, come consuetudine da alcuni anni, con un piccolo assaggio di camminata, con un pezzo di strada fatta assieme a piedi. Certo il tempo novembrino non permetteva di pensare grandi imprese, ma era importante vivere tutto il significato e la carica di questo segno: il segno della STRADA. Siamo partiti da Caldiero di primo pomeriggio per recarci al colle di San Giacomo al Vago. Pochi chilometri, percorsi in un paio d’ore scarse, in uno splendido e insolito pomeriggio soleggiato, che si sono rivelati importanti e significativi. La Strada ha sempre un’infinità di cose da insegnare quando si accetta di farne esperienza, non importa se è corta o lunga, se è impervia o pianeggiante, se è fatta con il bello o con il brutto tempo. Fare strada significa fare l’esperienza dei discepoli, di coloro che accettano di apprendere e di imparare sempre qualcosa di nuovo, con spirito di umiltà, con disponibilità, con la disposizione d’animo di entrare in gioco, di lasciare che l’avventura, il rischio, l’imprevisto e l’imprevedibile entrino nella loro vita.
Così, tanto per esemplificare, abbiamo imparato tanto anche da questo piccolo pezzo di strada: la difficoltà e nello stesso tempo la bellezza del fare un percorso in una quindicina di persone adulte con passi ma anche con sensibilità umane tanto differenti tra loro. Quindici adulti – alcuni che si conoscevano da tempo, altri che si incontravano per la prima volta – uniti dallo e per lo stesso percorso. Quante riflessioni si potrebbero fare su questa semplice constatazione. Che motivo di riflessione e di arricchimento potrebbe essere.

Quindici adulti, differenti tra loro, che camminano assieme!
E poi il fatto di percorrere un pezzo di strada in mezzo alle auto e ai centri abitati. Il constatare quanto siano carenti i nostri paesi di piste pedonali e ciclabili.
Chi volesse recarsi al colle di San Giacomo a piedi o in bicicletta dovrebbe esporsi ad un vero e proprio rischio di vita. Chiediamo amabilmente ai nostri amministratori se non ci sia modo di rimediare a questa grave lacuna. Non è strano, assurdo che non esista un sentiero pedonale per arrivare al bel colle di San Giacomo? Un colle di grande valore storico e culturale condannato a rimanere isolato e sconosciuto proprio per la gente che vi vive più vicina.
D’altra parte io sottolineavo durante il percorso il significato del nostro camminare in mezzo alle auto rombanti e strombazzanti come un segno profetico, una piccola testimonianza di libertà. Era un’altra provocazione: mostrare che c’è gente che sceglie di camminare a piedi, in mezzo alle auto. Un tempo questo camminare,
questo usare il mezzo dei piedi era la normalità, oggi è diventato una rarità, un fatto insolito. Anche per coprire le distanze più irrisorie oggi si è soliti prendere in mano l’auto.
Eppure qualche volta l’auto può benissimo essere lasciata a casa. La persona umana è più importante dell’auto. E pensiamo quale razza di incontri e relazioni è possibile fare quando si va a piedi. A differenza di quando si è rinchiusi nella scatola metallica dell’automobile.
Queste semplici annotazioni buttate giù a distanza di diversi giorni danno l’idea di quanto il fare strada possa essere stimolante, istruttivo, interessante.

A metà pomeriggio siamo, infine, giunti al Colle di San Giacomo. E lassù ci siamo incontrati brevemente con la vita e l’opera di alcuni personaggi. Personaggi molto diversi tra di loro ma tutti in grado di insegnarci qualcosa. E non è vero che si impara, sempre ma soprattutto da adulti, quando si incontra qualcuno che sa insegnare con la verità della propria vita? Paolo VI diceva che “gli uomini ascoltano volentieri i maestri, ma ascoltano ancor più volentieri i maestri che sono prima testimoni”.
Ci siamo accostati a San Giacomo Apostolo a cui la grandiosa chiesa posta sul colle - che aveva la pretesa nel tardo medioevo in cui fu eretta di diventare addirittura una specie di basilica - è dedicata. Ci siamo accostati a don Calabria e al suo ordine religioso che, nel secondo dopoguerra, ha ereditato questo colle e lo ha trasformato all’inizio in un centro di spiritualità, anche attraverso la figura di fratel Vittorino Caccia, e poi in un centro di reinserimento per le persone cadute nel gorgo della dipendenza, attraverso l’opera portata avanti da don Antonio Mazzi (che è pure lui un discepolo di don Calabria).
Si parla molto di formazione degli adulti. Come problema ma anche come opportunità continua. In realtà ci siamo accorti che basta poco per capire cosa voglia dire questa espressione. L’adulto (e per noi Adulto Scout) è uno che si diverte, prova piacere a vivere esperienze formative. Sente la bellezza di provare ogni tanto nuovi stimoli, di apprendere cose nuove. Tanto più se questo avviene proprio nel territorio in cui egli vive e che pensa già di conoscere. Queste poche ore vissute assieme ci hanno fatto capire quanto poco conosciamo di quanto di circonda, inteso nel senso del territorio e delle persone. Quante volte siano passati sotto quella grande chiesa posta sul colle, magari di corsa in autostrada o incolonnati all’uscita dalla tangenziale, senza sapere nulla di essa? Oppure quando ci è venuto in mente di chiederci chi stia vivendo ora e cosa stia facendo in quella bellissima oasi?
Una parte significativa del pomeriggio è stata vissuta per metterci in ascolto di coloro che stanno in questo momento gestendo l’oasi di San Giacomo. Roberto ci ha raccontato alcune cose del progetto Exodus ideato da don Antonio Mazzi. Anzi più che il racconto di un’esperienza l’incontro è stato una bella chiacchierata sulla realtà della droga e della dipendenza.
Quando è nato, negli anni ottanta, Exodus si occupava di ragazzi e giovani prigionieri dell’eroina. Attraverso un viaggio (appunto un Esodo) che durava mesi e che toccava luoghi significativi di povertà e di emarginazione del nostro paese, si voleva stimolare quei giovani ad una presa di coscienza della propria schiavitù aiutandoli a prendere in mano la propria vita per un impegno fattivo nei confronti di persone che avevano altrettanto bisogno di aiuto e sostegno. Sul colle di San Giacomo sono accolti giovani che stanno vivendo la fase del reinserimento dopo esser usciti dal tunnel della droga.
La droga è una schiavitù mortale. In quegli anni la droga aveva il nome di eroina. Ora sappiamo che forse esistono droghe anche peggiori e più letali anche se legalizzate, anzi proprio perché legalizzate, vale a dire permesse, presentate come innocue, magari attraverso un continuo martellamento pubblicitario: il gioco d’azzardo in tutte le sue forme.
L’uscita è stata il lancio dell’attività di un anno. Un’esperienza densa di stimoli e di proposte che meritano ed hanno bisogno di essere portate avanti e approfondite. È la sfida che ci attende in questi mesi.

Stefano Costa

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